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Colpo di Stato: e se la vicenda della trattativa Stato-Mafia fosse solo la copertura?

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giogio napolitano- colpo di stato - quirinale
Il Presidente della repubblica Giorgio Napolitano

Introduzione di Fabio Gallo/

Roma – Ma cosa è successo per davvero in quei giorni? Abbiamo dimenticato che tra gli attentati vi fu anche una bomba al Vicariato di Roma? Di certo il tiro era alto e qualcosa di veramente grave l’Italia stava rischiando. Roma, si sa, è la Nuova Gerusalemme e non fu risparmiata, a differenza della stessa seconda Guerra Mondiale, neanche la sede del Palazzo Apostolico Lateranense. E se la ricostruzione del Prof. Alessandro Corneli fosse corretta? Significherebbe, forse, che il pericolo non si è estinto del tutto ma solo un’epoca che si affaccia sulla bella Italia con un rischio ancora maggiore.

di Alessandro Corneli /

La “nuttata” è passata e il Quirinale fa festa. Rapida decisione di pubblicare, sul sito della Presidenza della Repubblica, la trascrizione della testimonianza di Giorgio Napolitano resa il 28 ottobre: era stata così ben circoscritta e preparata che tutto è filato liscio e finito con reciproci ringraziamenti.

È vero che il termine “trattativa” non è mai venuto fuori, ma Napolitano ha certificato che, nel 1993, l’allora presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi, confidò a lui, allora presidente della Camera, e a Giovanni Spadolini, allora presidente del Senato, i suoi timori per un possibile “colpo di Stato”.

Napolitano, più precisamente, ha parlato di un ricatto volto a destabilizzare le istituzioni che avrebbe avuto, come primo obiettivo, il Governo. La prova? L’improvvisa interruzione delle comunicazioni a Palazzo Chigi, sede del Governo.

Lasciamo stare e concentriamoci sulle questioni essenziali. È ipotizzabile un colpo di Stato come ricatto per ottenere un’attenuazione del regime carcerario duro del 41bis? La sproporzione è troppo grande. Un colpo di Stato si fa per obiettivi più grandi. Su questi eventuali obiettivi, Napolitano ha taciuto, ma Ciampi deve averli pur spiegati all’epoca dei fatti: forse fa parte di quello che lo stesso Capo dello Stato ha detto di “non poter dire”.

A questo punto, tutta la vicenda della presunta “trattativa” tra lo Stato e la mafia sarebbe una copertura, mediatico-giudiziaria, per oscurare la trama del presunto colpo di Stato. Che è cosa ben più corposa.

Possiamo tuttavia incrociare la presunta trattativa con il presunto colpo di Stato, ma con un risultato paradossale: i presunti negoziatori, da parte dello Stato, non andrebbero accusati di avere deviato dai loro compiti istituzionali, ma dovrebbero essere considerati come eroi al servizio della salvezza della Repubblica, avendo contribuito a sventare un colpo di Stato. Con probabili “costi collaterali” difficilmente evitabili. Anche perché non si può escludere che la mafia, o parte di essa, abbia contribuito a “salvare” la Repubblica, beninteso non gratuitamente.

Quanto sopra, è solo logica deduttiva costruita sulle dichiarazioni.

Ma si può aggiungere altro. In questi giorni, Matteo Renzi si è distinto per lo scontro con il sindacato. Ha detto che l’interlocutore del sindacato è l’impresa mentre l’oggetto è l’insieme delle condizioni contrattuali di lavoro. Al Parlamento, invece, spetta fare le leggi, senza chiedere il permesso alle parti sociali. Per l’occasione, è stato ritirato in ballo Ciampi, che nel 1993 “salvò” l’Italia proprio dialogando con i sindacati e ponendo fine alla concertazione.

Ciampi non era solo e io contesto che, lui e gli altri leader politici, “salvarono” l’Italia. Perché l’Italia era già nel 1992-1993 in fondo al burrone e lì l’avevano spinta i governi del precedente quindicennio con l’appoggio della Banca d’Italia di Ciampi. Un vero salvataggio ci sarebbe stato se, tra il 1992-1993, fossero state fatte le riforme di cui si parla oggi; ma non furono fatte e si aprì la strada al ventennio perduto, gestito dal Pci che nel frattempo aveva cambiato pelle e dal connubio socialisti-democristiani riciclatisi nelle armate berlusconiane. Con i sindacati a guardia dell’immobilismo e protetti prima da Scalfaro e poi da Ciampi dall’alto del Quirinale contro le velleità, assai tenui, di cambiare qualcosa, come annunciato da Berlusconi.

Le vere riforme si sarebbero dovute fare nel 1992-1993. Non furono fatte e per questo l’Italia ha affrontato un ventennio che l’ha portata alla crisi del 2011 e alla defenestrazione di Berlusconi che ormai non serviva più.

Oggi c’è Renzi, che dice qualcosa di più netto e forte di Berlusconi. Non so se ci crede o se è un altro traghettatore verso l’ulteriore declino dell’Italia.  Forse bisognerà attendere altri vent’anni per dare una risposta.

A SEGUIRE IL LINK DELLA DEPOSIZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA GIORGIO NAPOLITANO
http://www.quirinale.it/qrnw/statico/presidente/documenti/pdf/Testimonianza.pdf

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