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martedì, Dicembre 10, 2024

Sovraffollamento carceri: ne parla Gianpiero Calabrese

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Gianpiero Calabrese su IL PARLAMENTARE.IT

“La situazione delle carceri Italiane è ormai arrivata al collasso, i detenuti sono da tempo considerati come bestie e come tali vengono trattati.
Anzi, considerando che oggi grazie a molti movimenti politici e di volontariato le “bestie” vengono tutelate e protette quasi quando le persone dovremmo parlare, per i detenuti, di una nuova categoria.
Il sovraffollamento delle carceri ha avuto come prima ed immediata conseguenza la trasformazione degli istituti penitenziari da luogo e strumento di recupero e risocializzazione del detenuto in mero luogo di esecuzione di pena (definitiva), di luogo di anticipazione di esecuzione di pena, di imbarbarimento dell’essere umano.

Dicevamo sovraffollamento delle carceri come mancata dignità del detenuto.
Garantire la dignità del detenuto è ormai divenuto impossibile. Il sovraffollamento non consente ai detenuti di avere uno spazio vitale consono alla salvaguardia della loro dignità ed umanità.
Lo “stipare” più di sei individui in celle piccole ed anguste comporta inevitabili problemi di dignità dell’individuo e di  igiene.

In queste condizioni facile diventa il verificarsi di situazioni critiche e momenti di tensione non solo fra i detenuti ma anche fra questi e gli agenti della polizia penitenziaria, momenti di tensione che vengono superati solo grazie all’alta professionalità di quest’ultimi.

Sovraffollamento delle carceri, dunque, significa anche creare un serio e grave imbarazzo alla gestione dell’ordine e una superiore responsabilità per la Polizia Penitenziaria.
Gli agenti della polizia penitenziaria ormai lavorano in condizioni indicibili, in condizioni durissime anche per la preoccupante situazione degli organici se rapportata alla popolazione dei detenuti.
Solo l’alta professionalità e l’umanità degli agenti di polizia penitenziaria (nonché di tutti gli altri operatori carcerari, quali educatori, psicologi, assistenti sociali, etc) consente di superare sia quelle situazioni di attrito fra detenuti che inevitabilmente si vengono a creare in tali condizioni; sia le problematiche direttamente collegate alla gestione ed organizzazione di  un numero elevatissimo di detenuti.
Ma sovraffollamento delle carceri significa anche impossibilità, per carenza di fondi, di assicurare un trattamento in grado di soddisfare la richiesta di attività lavorative, di studio, di formazione e risocializzazione.

Ma quali solo le cause del sovraffollamento delle carceri e quali i possibili rimedi?
Le cause principali sono da individuare nel massiccio ricorso da parte degli organi giudicanti alla carcerazione cautelare ormai divenuta carcerazione preventiva o anticipazione di pena.
La custodia cautelare in carcere, quale estrema ratio, è ormai divenuta la principale se non l’unica misura cautelare da applicare per gli indagati in attesa di giudizio o per gli imputati ancora con sentenza non definitive.

Allo stesso tempo la restrizione cautelare è oggi adottata quale strumento di pressione finalizzato all’ottenimento di dichiarazioni di comodo e non solo in ambiente politico.
Tanto è vera tale assurda situazione che lo stesso Dott. Ernesto Lupo, primo Presidente della Corte di Cassazione, ha rivolto un appello ai magistrati “per un uso sempre più prudente e misurato del carcere nella fase cautelare”.

Le possibili soluzioni al problema.

1) Aumento al ricorso delle misure alternative alla detenzione carceraria;
2) Riduzione drastica dell’applicazione della misura cautelare inframuraria;
3) Massiccio ricorso a pene alternative al carcere, quali  quelle di depenalizzazione di molti reati, quali quelle di convertire le pene in lavori socialmente utili, quali quelle di detenzione domiciliare.

Infine per quanto concerne il sovraffollamento delle strutture carcerarie è oggi fondamentale costruire nuovi Istituti penitenziari o provvedere immediatamente all’ampliamento di quelli esistenti.

Solo così facendo si potrà effettivamente garantire al detenuto, (con sentenza definitiva) una esecuzione di pena dignitosa tesa al suo recupero sociale, evitando situazioni, come quelle attuali assolutamente indegne e in dicotomia con uno Stato civile e degne del periodo dell’inquisizione”.

Avv. Gianpiero Calabrese

 

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