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Il Partito democratico tra Monti e Napolitano

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Il presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Il Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Le primarie del centrosinistra, svoltesi domenica 25 novembre, sono andate bene. L’affluenza è stata alta (oltre tre milioni di partecipanti) e al ballottaggio andranno Pierluigi Bersani, forte del 44% di preferenze ottenute, e Matteo Renzi con il suo 36%. “Adesso si riparte dallo zero a zero”, ha detto il sindaco di Firenze: affermazione scontata.

L’alta affluenza è stata però favorita dalla frase del presidente Giorgio Napolitano, pronunciata tre giorni prima a Parigi: Monti “non può essere candidato perché è già senatore a vita” e solo dopo il voto delle elezioni politiche che si terranno quasi certamente il 10 marzo “potrà prendere impegni”. Le parole di Napolitano erano anzitutto mirate ad impedire che l’iniziativa pro-Monti presentata da Montezemolo alla fine della settimana precedente si concludesse con un gesto di gradimento da parte del presidente del Consiglio che avrebbe proiettato la nuova formazione s un bacino elettorale stimato intorno al 35% e quindi in grado di contendere il premio di maggioranza allo schieramento guidato dal Pd. Se questo fosse accaduto, le primarie del centrosinistra sarebbero state sconvolte: minore affluenza alle urne e, forse, un distacco meno netto tra Bersani e Renzi. Quindi diciamo pure che l’intervento di Napolitano ha favorito sia il successo delle primarie si quello di Bersani.

A ridurre la portata di questa operazione ci ha però pensato Mario Monti che, domenica sera, durante la trasmissione “Che tempo che fa” di Rai3, ha rotto il silenzio dicendo: “Rifletterò su tutte le possibilità, nessuna esclusa, in cui eventualmente io ritenga di poter dare il mio contributo al miglior interesse dell’Italia europea, che sappia affermarsi, competere, creare lavoro e avere maggiore giustizia sociale”. Traduzione esplicita di questa frase complicata: “Io sono candidato a succedere a me stesso”; con un corollario implicito: “Il Pd può fare quello che vuole, ma Palazzo Chigi resta a me”. Che è un evidente declassamento delle primarie del centrosinistra poiché Monti, con le sue parole, non ha escluso di accettare l’indicazione del suo nome che il “movimento” di Montezemolo e Casini  sembra avere scelto come propria ragion d’essere. Lo confermerebbero queste altre parole di Monti: “Un altro governo tecnico sarebbe una sconfitta” (per la politica). Ovvero: se resterà alla guida del Governo, non sarà come tecnico ma come politico.

Bersani aveva intuito questo scenario tanto è vero che, nei giorni scorsi, ribadendo la sua ambizione, e il suo diritto se vincerà le elezioni, di guidare un governo politico, aveva parlato di altri incarichi per Monti: dal Quirinale (ciò gli eviterebbe di dovere scegliere tra i potenziali candidati del suo partito) a un importante ministero, verosimilmente quello dell’Economia, azzerando le ambizioni di Corrado Passera. Anche Renzi ha intuito qualcosa, affermando che la sua candidatura a premier porterebbe più voti di quella di Bersani, esorcizzando una vittoria di un’eventuale formazione pro-Monti accettata dallo stesso Monti.

Intanto il tempo stringe. Per votare il 10 marzo, le Camere dovrebbero essere sciolte tra il 10 e il 15 gennaio. Napolitano vuole una nuova legge elettorale. Bersani, soprattutto se vincerà il ballottaggio, è disponibile a parole ma non nei fatti: gli va bene il Porcellum, come si era capito da tempo. Perciò una delle due: o Napolitano cede e scioglie le Camere senza una nuova legge elettorale, o s’impunta e guadagna un altro mese o poco più per arrivare al termine naturale della Legislatura. Il Capo dello Stato non vorrebbe cedere: tra una decina di giorni ci sarà la sentenza della Corte costituzionale sul conflitto di attribuzione e non è più scontato che sia del tutto favorevole alla posizione del Quirinale. Infine, anche se potrebbe avere un costo politico, Bersani, specie se vincerà con buon margine il ballottaggio, potrebbe mettere in crisi il governo e costringere Napolitano allo scioglimento anticipato delle Camere. Il gioco si fa pesante e serrato.

Colpisce il titolo del Corriere della Sera dopo i risultati del primo turno delle primarie del centrosinistra: “Renzi porta Bersani al ballottaggio” . Un titolo non certo favorevole a Bersani. Che fa il paio non quello de il Giornale: “Bersani è primo ma Renzi ha vinto”. Attendista La Stampa: “Ballottaggio Bersani-Renzi”. E Monti chiosa: “Entro la fine dell’anno sarà chiaro quel che farò”. Gli Italiani stanno a guardare.

E il centrodestra? Si sostiene che Silvio Berlusconi farà rinascere Forza Italia. Senza entrare nei dettagli e nei personalismi, è un errore. La prossima Legislatura sarà caotica e durerà un paio di anni. Meglio sarebbe per lui restare fuori e non farsi coinvolgere nel caos prossimo venturo. Ma chi si sente “uomo del fare”, difficilmente accetta di meditare prima di fare.

Fonte GR&RG di Alessandro Corneli

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