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Quirinale, la conquista del Palazzo

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Veduta della restaurata Galleria di Alessandro VII del Palazzo del Quirinale
Veduta della restaurata Galleria di Alessandro VII del Palazzo del Quirinale

di Alessandro Corneli

Lo avevo anticipato l’11 gennaio (Vedi articolo: Quirinale, partiti i primi due siluri), ma la battaglia per il Quirinale è stata ufficialmente aperta il 15 gennaio da Silvio Berlusconi che ha detto di essere disposto a votare Mario Draghi. Il quale ha subito fatto sapere di essere intenzionato a restare alla guida della Bce fino alla scadenza del mandato nell’ottobre 2019. Poiché Berlusconi detta i modi di questa campagna elettorale, tutti i giornali hanno tolto il velo sulla corsa per il Quirinale. Il Corriere della Seradel 16 gennaio ha messo le mani avanti: “Sul Quirinale trattativa che sarà ‘svincolata’ dagli equilibri di governo”, aggiungendo però: “Salgono le quotazioni di Giuliano Amato”. Quello che avevo scritto l’11 gennaio.

Come è noto, i primi nomi che vengono fatti, di solito lo sono per essere bruciati. Così anche Mario Draghi, che non desidera nemmeno essere scottato, ha chiuso le illazioni. Per la verità il suo nome circolava da tempo: Berlusconi ha solo sollevato il coperchio. Circolava nell’ambito di un disegno più vasto, del quale mi limito a dire che prevedeva l’elezione alla presidenza del Senato di Pierferdinando Casini sulla scia di una forte affermazione del “centro” alle prossime elezioni. Non solo i sondaggi non lo confortano, ma mentre per la presidenza della Camera avanza la candidatura di Dario Franceschini, Bersani deve evitare che al Senato, se dovesse assumere la guida del Governo, ci fosse un presidente che, invece di velocizzare i disegni di legge,  li sottoponesse prima ad un “vaglio tecnico”. Dopo essersi dato tanto da fare, Casini potrebbe raccogliere assai poco.

Un Pierluigi Bersani vincitore delle elezioni, potrebbe ritentare l’operazione di Prodi nel 2006 quando riuscì a fare eleggere Giorgio Napolitano al Quirinale con i soli voti del centrosinistra. Adesso Bersani potrebbe lanciare Massimo D’Alema, cui deve la conquista della Segreteria del partito, o Romano Prodi, per garantirsi l’appoggio di tutte le componenti del Pd. Questa strategia passa per un contenimento del partito di Monti-Casini-Fini e sembra prevalere poiché Bersani ha detto: “Chi non vota Pd aiuta Berlusconi”, che equivale alla linea scelta da Berlusconi: “Il mio rivale è Bersani”. Ha rincarato la dose Franceschini che, commentando le aperture di Monti sulla riduzione delle tasse, ha detto: “Non si risponde al pifferaio (così Monti aveva definito Berlusconi, rinunziando con palese sforzo al linguaggio tecnico – ndr) suonando il piffero”. Poi, rivolgendosi direttamente a Monti, ha aggiunto con freddezza: “Forse si fa prendere la mano da un’avventura in politica che non conosce. Gli consiglio un po’ di prudenza” (da la Repubblica del 16 gennaio). Ovviamente Monti non ci sta ad essere schiacciato dalla logica bipolare Bersani-Berlusconi: “Il voto utile sono io”, ha detto, spiegando: “Non esiste un voto di serie A o di serie B, ci dispiace che il segretario democratico usi questo vecchio modo di considerare gli elettori”. Casini – che si sente un po’ isolato – ha detto che “Bersani e Berlusconi sono parallelamente d’accordo”.

Bersani non crede alla rimonta di Berlusconi. Per questo vuole contenere al massimo il “centro” di Monti e Casini e apre anche ad Ingroia, seguendo la vecchia tattica di non avere nemici a sinistra. Ma è costretto a pensare fin da ora alla battaglia per il Quirinale poiché spetterà al nuovo Capo dello Stato “proteggere” la vittoria del centrosinistra. Sembra evidente che Berlusconi, che comunque disporrà di un buon pacchetto di voti nel Parlamento riunito in seduta comune dal 15 aprile per eleggere il successore di Napolitano, preferirebbe un candidato sufficientemente lontano dal Pd, come potrebbe essere Giuliano Amato che, dati i suoi precedenti, non avrebbe scrupoli a prendere decisioni forti se la situazione politica, ed eventualmente anche economica, dovesse precipitare. Potrebbe spingere per una riedizione della “grande coalizione”, che declasserebbe la vittoria elettorale del Pd. Ma poi siamo sicuri che il Presidente della Repubblica italiana non sia scelto anche con la partecipazione di soggetti esterni al Parlamento?

Fonte GR&RG

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