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sabato, Luglio 27, 2024

Riforme a marce forzate tra incertezze, miopie e spionaggio informatico

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Forse non cresciamo perché qualcuno controlla da 10 anni la nostra possibilità di sviluppo
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Gli sviluppi del DATAGATE che mostrano uno scenario apocalittico in termini di spionaggio internazionale ad opera della superpotenza USA finiranno per rendere epica la giornata del 4 di Luglio 2013 quando le Associazioni “la Scuola di Atene” e “Alumni Bocconi” hanno inteso parlare del futuro economico del grande Patrimonio Culturale Italia (Made in Italy), chiedendo alla Fondazione “Paolo di Tarso” e ai suoi esperti cosa c’è, in tal senso, nel futuro. Incredibile a credersi ma distanza di tre mesi potremmo dire per ricordare una frase importante “tutto è compiuto” di quanto emerso da quella conferenza (vedi: Il Potere della Rete logora chi non ce l’ha). Oggi, più che mai, è importante comprendere bene e a fondo cosa sta succedendo perchè l’intelligenza dei giovani e competenti esperti italiani possa essere orientata verso la ricerca di soluzioni innovative a sostegno della classe politica che si trova a governare un Paese ingovernabile per l’eccesso di burocrazia che impedisce in ogni modo la crescita e lo sviluppo. L’innovazione può miracolosamente aiutare la nostra Nazione ma la politica deve saper delegare con fiducia che è intelligente per davvero e non solo che ha la tessera del partito. Intanto, per aiutarci ad avere sempre una lettura “logica” vi ripresentiamo Alessandro Corneli che ci aiuta ad orientarci. la Redazione:

di Alessandro Corneli / grrg.eu /Da quasi due anni Silvio Berlusconi non ha più il controllo della situazione, passato decisamente al Quirinale, che ha esercitato i suoi poteri costituzionali (nomina di Mario Monti a senatore a vita, incarico allo stesso di formare il Governo nel novembre 2011,  scioglimento anticipato delle Camere, rifiuto di incaricare Pierluigi Bersani di formare il Governo dopo il voto del febbraio scorso, incarico conferito a Enrico Letta) e quel particolare potere che si chiama moral suasion (ripetuta insistenza a fare le riforme – della Costituzione e della legge elettorale in primo luogo –, invito alle forze politiche a non perdere l’occasione delle larghe intese per non pregiudicare il rilancio dell’economia, suggerimento ad alleviare la situazione carceraria con un provvedimento di indulto e di amnistia), a cui ha aggiunto diverse dichiarazioni su accuse o illazioni nei suoi confronti da parte di esponenti politici, rilanciate da alcuni giornali. Come l’affermazione secondo cui egli avrebbe “tradito” un “patto” con Berlusconi per “salvarlo” dalla magistratura, sdegnosamente respinta dal Quirinale, ma che è servita a fare molto fumo.

Napolitano giustifica i suoi interventi con la necessità, per l’Italia, di non perdere il contatto con l’Europa, ma anzi di contribuire a rafforzarne il processo di integrazione verso una reale unione politica. Ma in questo affollamento di interventi si nota una crescente fretta, che potrebbe anche essere ansia, di fronte a un diffondersi di critiche nei suoi confronti che non erano immaginabili solo pochi mesi fa. Siamo lontani da una situazione analoga a quella che si creò intorno a Oscar Luigi Scalfaro che lo spinse, il 3 novembre 1993, a pronunziare il celebre “io non ci sto”. Ma la china è quella.

Proprio per evitare di scivolare su questo piano inclinato, la strada scelta sembra quella di forzare le forze politiche a fare le riforme, presentate come l’antidoto più efficace contro il declino economico e il disfacimento istituzionale, cui certi commenti del Corriere della Sera di questi giorni – da quello di Ernesto Galli Della Loggia a quello di Piero Ostellino – sul fallimento della classe politica-dirigente forniscono una sorta di giustificazione.

Oggi Napolitano ha detto che “c’è l’occasione, oggi, in questo 2013-2014, di giungere a delle conclusioni valide, più o meno comprensive di molteplici necessità”. Spiega che “il tema delle riforme istituzionali e costituzionali è ormai ineludibile. Non se ne può più discutere a vuoto”. Eppure il “rinnovamento istituzionale” dell’Italia, “dopo una lunga serie di omissioni e ritardi, ancora fatica a prendere corpo e cozza contro ostacoli e resistenze molteplici”. L’espressione “ostacoli e resistenze molteplici” è eloquente.

Gli ha fatto eco il presidente del Consiglio, Enrico Letta, alle prese con le “correzioni” da apportare alla Legge di stabilità. Le riforme, a suo parere, permetteranno “al nostro paese di funzionare meglio”. Infatti, “se l’Italia non funziona è perché ha regole che non funzionano, regole vecchie”.

Il Senato, con 218 voti, appena 4 in più della maggioranza dei due terzi, ha intanto approvato in terza lettura il ddl costituzionale che istituisce il Comitato parlamentare per le riforme costituzionali. Ora l’approvazione finale spetta alla Camera. Con questo voto del Senato, è stato  evitato il pericolo di una richiesta di referendum e, dopo il voto scontato della Camera, il Comitato potrà presentare il suo progetto, sul quale, per la verità, ci sono ancora divergenze, anche se meno grandi di quelle che circondano il progetto di riforma della legge elettorale.

Non c’è dubbio che Napolitano e Letta cerchino di concentrare l’attenzione sulle riforme per distoglierla, entro certi limiti, dall’economia e dalla Legge di stabilità che ha scontentato tutti, nonché da vicende spinose che riguardano la sorte di grandi aziende come Telecom e Alitalia, o quelle che potrebbero emergere dalle continue rivelazioni relative alla vicenda Datagate. Dopo la Francia, che ha protestato violentemente con Washington, adesso è la volta della Germania: anche il telefono della cancelliera Merkel sarebbe stato intercettato. Inoltre, dopo il Brasile anche il Messico protesta. E questo proprio quando si dovrebbe stringere sul grande accordo economico e finanziario tra Stati Uniti ed Europa. Invece di restringersi, l’Atlantico potrebbe allagarsi. A chi conviene? E quanto c’entra il dibattito sul ruolo del dollaro che va crescendo? Gli Stati Uniti vogliono far capire quale baratro economico globale si aprirebbe se la loro leadership fosse messa in discussione? Oppure altri Paesi sono convinti che gli Usa siano alle corde? E come se ne esce da questa prova di forza? Quali vasi di coccio si romperanno nello scontro tra vasi di ferro? È realistico, per l’Italia, chiudersi in sé, occupandosi delle proprie riforme come se fuori non infuriassero contemporaneamente più tempeste?

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