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Grazia no ma “Colpo di Grazia” si. Un approfondimento di Alessadro Corneli

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Silvio Berlusconi e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

di Alessandro Corneli / grrg.eu

Nel libro “Una lunga trattativa”, di Giovanni Fasanella (ed. chiarelettere, luglio 2013), a pag.  211 (quintultima pagina del volume), si legge quanto segue: “Nel 1993 personalità politiche e imprenditori di primo piano legati al mondo anglosassone si riunirono a cena in un grande albergo romano. A organizzare erano stati Francesco Cossiga e Gianni Agnelli. E l’ospite d’onore era un tycoonproprietario di un potente impero mediatico destinato a una lunga carriera anche come leader politico: Silvio Berlusconi. Era riluttante all’idea di impegnarsi direttamente riunendo il vecchio fronte anticomunista in un nuovo partito. Ma Cossiga e Agnelli alla fine riuscirono a convincerlo”.

LA RICHIESTA DI GRAZIA SUONA COME UN PATTO DA RISPETTARE
Cossiga e Agnelli sono morti, non possono né confermare né smentire. Ma l’insistenza con cui Berlusconi, sabato 23 novembre, quindi a quattro giorni dal voto in Senato sulla sua decadenza, ha detto che il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, gli deve concedere la grazia (per riparare a una ingiustizia, ecc.) ha tutte le caratteristiche di un richiamo a tenere fede a un “patto”. In parole semplici: “Voi, che mi conoscevate, mi avete chiesto di scendere in politica per bloccare i comunisti; adesso non potete permettere che io sia condannato”.

SILVIO BERLUSCONI DESIGNATO A IDENTIFICARE LA LOTTA AL COMUNISMO
Cossiga, all’epoca della cena, era senatore a vita in quanto ex presidente della Repubblica; Agnelli era stato nominato senatore a vita dallo stesso Cossiga nel 1991. Né l’uno né l’altro avevano incarichi istituzionali ma avevano sufficiente prestigio e influenza nel mondo politico ed economico italiano e internazionale. Potevano sia indurre qualcuno a fare qualcosa sia fornire a terzi garanzie su che cosa avrebbe fatto questo qualcuno. Nessun personaggio di rango inferiore a Cossiga e Agnelli, uniti, avrebbe potuto indurre Berlusconi, che era stato a lungo vicino a Craxi, inviso ad entrambi, ad accettare questa sfida impossibile.

Si può tuttavia ammettere che la scelta di Cossiga e Agnelli poteva non piacere ad altri, che non sarebbero rimasti a guardare. Sta di fatto che l’unico altro personaggio che avrebbe potuto avere una chance era Mario Segni, l’eroe del referendum anti-Prima Repubblica; ed è sempre rimasto un mistero perché non accettò di diventare il leader dei moderati. È verosimile supporre che si piegò ad una decisione che era stata presa sopra la sua testa. I moderati, infatti, si schierarono sotto le bandiere di Forza Italia e il Pci di Achille Occhetto, nel frattempo diventato Pds, fu sconfitto contro le previsioni.

Per quanto, nei vent’anni successivi, la scelta di Berlusconi sia apparsa divisiva del mondo politico italiano, in realtà la sua discesa in campo spaccò l’Italia in due, ma solo dal punto di vista politico, senza spaccarla in profondità, come alcuni potevano temere se avesse vinto l’ex Pci. Il calcolo di Cossiga e Agnelli, se fu questo, si è rivelato esatto. Non solo: grazie a Berlusconi fu possibile anche fare rientrare le spinte secessionistiche della Lega.

L’analogia con le decisioni che furono prese nei circoli del potere alla vigilia del conferimento dell’incarico di formare il governo a Benito Mussolini, nell’ottobre 1922, sono schiaccianti. Solo che, questa volta, si dovevano prendere misure precauzionali affinché una leadership, che doveva essere transitoria, non si trasformasse in qualcosa di duraturo. A questo hanno provveduto sia le alternanze al governo sia l’azione della Magistratura che ha sempre tenuto Berlusconi sotto scacco. Come ho ricordato nell’articolo del 18 novembre, Berlusconi ha governato, a intermittenza, per 3341 giorni contro i 5006 giorni (dato aggiornato al 24 novembre) degli altri governi dalla fine della Prima Repubblica nel 1992.

IL GOVERNO POST-COMUNISTA DEPOTENZIATO
In realtà, l’esperimento Berlusconi sarebbe potuto finire dopo pochi mesi. Infatti il suo primo governo durò 252 giorni. Seguì quello di Dini (di 486 giorni) e solo nel 1996, ma sotto la guida dell’ex dc Romano Prodi, si formò un governo con la partecipazione diretta di post-comunisti, ormai depotenziati. Invece furono le divisioni del centrosinistra a consentire a Berlusconi di tornare vincere nel 2001 e nel 2008, prolungando la sua permanenza sulla scena politica molto al di là di quanto era stato immaginato. Alla fine, la sua sconfitta è derivata da una graduale disgregazione dell’area moderata. Ma Berlusconi può essere rimasto fermo al “patto” del 1993.

GIORGIO NAPOLITANO NON HA DEBITI NEI CONFRONTI DI BERLUSCONI
Le cose sono cambiate. Il presidente Napolitano non ha nessun debito nei suoi confronti. Nel 2006 fu eletto, per la prima volta, con i soli voti della sinistra. Nel 2013, la sua rielezione, pur sponsorizzata da Berlusconi, è stata decisa dagli elettori che hanno eletto un Parlamento governabile solo con le larghe intese e dalle indecisioni del Pd.

La condanna di Berlusconi in via definitiva, il 1° agosto scorso, ha infine modificato ancora la situazione e il 13 agosto Napolitano si limitò a ricordare i presupposti per la domanda di grazia, anzitutto l’accettazione della sentenza, cioè proprio quello che Berlusconi non poteva accettare. Nulla vieta di pensare che, se la domanda fosse stata inoltrata, Napolitano l’avrebbe respinta, tenendo presente che Berlusconi aveva, ed ha ancora, altri procedimenti giudiziari a suo carico. Berlusconi non poteva chiedere la grazia. Soprattutto, non poteva chiederla se fosse stato convinto – come probabilmente lo è – di avere svolto una missione su richiesta, cosa che del resto non può ammettere.

Così Napolitano non ha avuto particolari difficoltà, il 24 novembre, a fare emettere un comunicato che assesta il colpo di grazia: “Non solo non si sono create via via le condizioni per un eventuale intervento del Capo dello Stato sulla base della Costituzione, delle leggi e dei precedenti, ma si sono ora manifestati giudizi e propositi di estrema gravità, privi di ogni misura nei contenuti e nei toni. Di qui il pacato appello del presidente della Repubblica a non dar luogo a comportamenti di protesta che fuoriescano dai limiti del rispetto delle istituzioni e di una normale, doverosa legalità”.

Un altro mistero si aggiunge alla lista dei misteri d’Italia. E anche questo difficilmente avrà un capitolo finale.

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