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giovedì, Marzo 28, 2024

Roberto Ormanni a Giuseppe Lorin: i Talk di oggi? per sembrare intelligenti

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Giuseppe Lorin -teatro-cinema-poesia-arte
Giuseppe Lorin

A cura di Giuseppe Lorin per Laici.it/

Le trasmissioni televisive di Renzo Arbore sono state delle vere e proprie ‘officine’ dell’arte dell’intrattenimento, che hanno fatto conoscere al pubblico personaggi dalla più svariata allocazione culturale e artistica.‘Quelli della notte’ e ‘Indietro tutta’ hanno dato alla televisione, o meglio allo spettacolo italiano, un continuum generazionale di ‘creativi’ su cui fare affidamento. Sono stati spettacoli che hanno avuto il merito di scoprire e lanciare nuovi personaggi, fra i quali Roberto Benigni, Gegé Telesforo, Giorgio Bracardi, Mario Marenco, Marisa Laurito, Nino Frassica, Milly Carlucci, Daniele Luttazzi e valorizzarne altri come Michele Mirabella, Luciano De Crescenzo e Roberto Ormanni, giornalista, sceneggiatore, cronista giudiziario, avvocato, direttore responsabile dei settimanali di informazione www.goleminformazione.it e www.ilparlamentare.it. Roberto Ormanni, oltre a dirigere redazioni importanti, collabora con diverse testate ed è stato responsabile del settimanale giuridico ‘Diritto e Giustizia’ (Giuffrè editore). E’ anche autore del testo teatrale ‘Due carissimi nemici’, musical napoletano sulla vita dei poeti Salvatore Di Giacomo e Ferdinando Russo. La commedia è stata messa in scena per due anni di seguito al teatro ‘Cilea’ di Napoli.

Roberto Ormanni
Roberto Ormanni

Roberto Ormanni, ricordando i suoi impegni nelle trasmissioni televisive ideate da Renzo Arbore come ‘Quelli della notte’ e ‘Indietro tutta’, può parlarci della spontaneità artistica di quegli anni, da lei vissuta in prima persona?
“La via mediana tra cenacolo culturale e circolo dopolavoro: questo, in sostanza, voleva essere – e in un certo senso lo fu – ‘Quelli della notte’. Negli anni ’80, la Rai poteva ancora contare su dirigenti di grande livello culturale, quasi tutti ‘figli’ dei concorsi Rai della metà degli anni ’50. La filosofia, se così possiamo chiamarla, della proposta di Renzo era quella di esasperare, prendendola un po’ in giro, la struttura stessa del ‘talk show’. Di cui, non a caso, la Rai vanta i diritti di primogenitura, in campo televisivo, con ‘L’ospite delle due’, ideato e condotto nel 1975 da Luciano Rispoli, dipendente Rai, per l’appunto, dal concorso del 1954. A questa ‘prima bozza’ di ‘talk show’ seguì, con Maurizio Costanzo, ‘Bontà loro’, nel 1976. Da quel momento, il ‘salotto’ in tv divenne un’abitudine. Dietro molti di questi programmi, per quei tempi rivoluzionari, che rappresentarono l’evoluzione dell’assai più triste e paludata (per quanto meritoria) ‘Tribuna elettorale’ di Jader Jacobelli dell’aprile 1961, c’era Angelo Guglielmi, che guarda un po’ era anch’egli arrivato in Rai con il concorso del 1954. Lo scopo, però, non era solo fare informazione, ma anche l’intrattenimento. Poco alla volta, anzi, l’intrattenimento – parente stretto dello spettacolo ‘tout court’ – prevalse sull’informazione. Si passò pian piano, insomma, dal cenacolo culturale al dopolavoro. E così, la chiave della recita ‘a soggetto’ fu utilizzata da Arbore sia per fare il ‘verso’, un po’ irriverente, al ‘talk show’, sia per costruire una ‘griglia’ che potesse offrire qualcosa di nuovo. Il trucco, che Renzo ha sempre padroneggiato assai bene, è stato quello di mettere insieme autori e interpreti dall’intelligenza brillante e dall’ironia pungente, capaci di dire cose intelligenti fingendo di essere stupidi. L’esatto contrario di ciò che, spesso, accade oggi…”.

Da Renzo Arbore, ai rotocalchi televisivi di Paolo Guzzanti ‘Visto da sud’ e ‘Giorno per giorno’: quale è stata la motivazione che l’ha spinta a impegnarsi nelle sceneggiature della serie a cartoni animati come ‘Ulisse – Il mio nome è Nessuno’, prodotta dai Raidue?
“Forse, come spesso mi rimprovera qualcuno, la vera motivazione sta nel fatto che non ho ancora deciso cosa fare da grande… Da bambino, sempre appassionato di fumetti e cartoon, avevo una predilezione particolare per la bellissima storia ‘Topolino giornalista’, disegnata da Gottfredson e sceneggiata da Ted Osborn, uno dei migliori sceneggiatori Disney degli anni Trenta. E allora ho pensato che le due cose potessero essere messe insieme: fare il giornalista (che, come disse Luigi Barzini, è sempre meglio che lavorare) e lo sceneggiatore di cartoon. Scherzi a parte, l’idea di un ‘serial’ a cartoni animati dedicato a Ulisse e all’Odissea è venuta dal rapporto quasi filiale che mi lega da sempre a Luciano De Crescenzo. Insieme con Massimo Vincenti e Stefano Santarelli (sceneggiatori veri, non come me), pensammo che visto il successo del libro di Luciano ‘Ulisse, il mio nome è Nessuno’, si poteva proporre alla Rai un’Odissea a cartoni animati. L’idea piacque allo storico responsabile di Rai Fiction Max Gusberti e, tra alterne vicende produttive, costellate anche, come spesso capita in questo settore, da bizzarri personaggi, alla fine ne è venuta fuori una serie di 23 puntate da 20 minuti ciascuna. In fondo, l’Odissea è il primo reportage della storia della comunicazione, visto che il cuore della storia è nient’altro che il racconto del viaggio di ritorno a Itaca che lo stesso Ulisse consegna ai Feaci”.

La nostra curiosità e attenzione va spesso su questi suoi due libri: ‘Il cinema di cartone (animato)’ e ‘La mia vita dentro – Le memorie di un direttore di carceri’, entrambi editi dalla Infinito Edizioni. Ci descrive in maniera concisa le tematiche ‘opposte’ di questi suoi due lavori?
“Sinteticamente? Il cinema di cartone è l’approdo di un sogno – far muovere un disegno – che accompagna l’uomo fin dalla preistoria, come dimostrano gli animali raffigurati sulle pareti delle Grotte di Altamira, in Spagna, dove le tribù di 25 mila anni fa disegnarono i bisonti con otto zampe nel tentativo di dare l’idea del movimento. Il carcere, così come è oggi gestito in Italia, è il naufragio di una speranza: la pena come rieducazione e principio di reinserimento. I due opposti provocano, singolarmente, il medesimo risultato: il primo riempie i cinema, il secondo riempie i penitenziari”.

Paperino e Topolino incarnano due modelli caratteriali dell’essere umano, il succube e il saccente che ha sempre ragione: secondo lei, quale rapporto c’è tra questi due eroi del fumetto?
“In realtà, sono due facce della stessa ‘medaglia’ e non è un caso che metà dell’umanità adori Topolino e l’altra metà ami Paperino. È come il rapporto da Cosmos e Caos: la vita è il continuo divenire e intrecciarsi di Cosmos e Caos, ordine e disordine. Cosa sia Cosmos e cosa sia Caos, chi dei due possa prevalere con precisione è impossibile stabilirlo: bisognerebbe fermare il divenire e questo, come ci spiega Eraclito, non può mai accadere, perché significherebbe annullare sia ordine che sisordine, così che non si avrebbe più nulla da definire”.

Questi sono gli argomenti ‘centrali’ trattati nel suo saggio ‘Il cinema di cartone (animato)’?
“Può sembrare strano che si parli di filosofia in un saggio sul cartoon, ma c’è anche questo. L’obiettivo è quello di raccontare, attraverso tante storie, aneddoti e curiosità, la grande storia di un cinema nato ‘prima’ del cinema: nel 1877. Mi auguro di esserci riuscito. Se invece, per citare il Manzoni che così chiude ‘I promessi sposi’ (sebbene il paragone possa sembrare inopportuno) “non fossimo riusciti che ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta”. D’altro canto, disegno e cinema erano sposi promessi da sempre”.

Lei è stato, in passato, responsabile del settore giustizia dell’agenzia di stampa ‘il Velino’ e ha diretto il quotidiano giuridico ‘Diritto e Giustizia’, nonché il supplemento settimanale cartaceo ‘D&G’, editi dalla società Infogiuridica Spa, del Gruppo Giuffrè. Dunque, vorremmo chiederle: secondo lei, risanare le aziende è un compito ingrato, in Italia?
“Il risanamento più solido e duraturo di un’azienda passa, o dovrebbe passare – se l’imprenditore ha letto qualche manuale di economia aziendale – per investimenti ragionati e valorizzazioni di risorse preesistenti. E’ il frutto di un equilibrio tra parziale contrazione del vecchio ed espansione del nuovo. Un po’ come il principio dei vasi comunicanti di Archimede. Quando è così, il risanamento è un compito difficile e, forse, anche pericoloso, ma mai ingrato”.

Insomma, rimboccarsi le maniche e cercare di salvare il salvabile: un suo consiglio sulla gestione amministrativa in un momento così difficile per il Paese?
“Amministrare vuol dire conoscere il passato e governare il presente mettendo le basi per il futuro. Molti, invece, credono che significhi indurre a dimenticare il passato, maneggiare il presente ed evitare, per quanto possibile, di pensare al futuro”.

Gestire la rivista settimanale ‘D&G’ e il relativo quotidiano online ‘Diritto e Giustizia’ apportano ‘news’ da inserire nelle rassegne stampa degli organi superiori del Governo italiano?
“Il diritto e la giustizia rappresentano il vero e unico scudo della democrazia: l’homo politicus, inteso come uomo della polis, della città, ha come obiettivo, direi teleologico, la giustizia, che è a sua volta il fine del ‘naturalismo’. Ma il percorso verso la giustizia deve necessariamente avvalersi del diritto, che invece è espressione del ‘positivismo’: due mondi da sempre in conflitto. Se gli organi superiori del Governo riflettessero di più e conoscessero meglio le news provenienti dal complesso mondo del diritto e della giustizia, anziché oscillare ora verso l’uno, ora verso l’altra, si affronterebbero finalmente le cause di molti problemi, invece di continuare a litigare sulle conseguenze…”,

Il Senato, la Camera, la Corte costituzionale, il Quirinale, il Consiglio di Stato, la Direzione nazionale antimafia, il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, l’Associazione nazionale magistrati, l’Unione delle Camere penali, l’Organismo unitario dell’Avvocatura sono gli organi che seguono e leggono le news da lei approvate per la pubblicazione nella rivista ‘D&G’?
“Siamo riusciti a cogliere gli aspetti interessanti e stimolanti di un mondo complesso e problematico, troppo spesso raccontato attraverso la lente del pregiudizio, con la ‘chiave’ della semplificazione a tutti i costi, che finisce per diventare approssimazione o, addirittura, mistificazione. Semplificare non vuol dire rinunciare alle parti difficili, ma comprenderle per spiegarle. Questo, i vecchi giornalisti lo sapevano e lo insegnavano. Poi c’è stato un momento nel quale la comunicazione, anche quella tecnica, in nome della semplificazione ha preteso di sostituire i pensieri con i ‘pensierini’. E degli insegnamenti si sono dimenticati tutti. L’interesse e, con esso, la partecipazione e il confronto che abbiamo risvegliato in istituzioni, anche professionali, prestigiose dimostrano, ancora una volta, che dalla ‘caverna di Platone’ si può uscire”.

Le maggiori agenzie giornalistiche Agi, Ansa e Adn Kronos e i quotidiani come ‘La Stampa’, ‘La Repubblica’, ‘Il Messaggero’, ‘Il Corriere della Sera’, ‘Il Mattino’, ‘Italia Oggi’ e ‘Il Sole 24 Ore’, come percepiscono la sua rivista?
“Come la possibilità di scoprire che, dietro una formula tecnica, ci può essere una notizia utile all’informazione e, dunque, all’evoluzione della conoscenza”.

La sua riflessione sul terremoto politico che sta scuotendo in questi giorni la capitale d’Italia?
“I terremoti politici sarebbero delle proficue occasioni di rifondazione se non fossero provocati, sempre e soltanto, da iniziative giudiziarie. Le quali, a loro volta, hanno ormai assunto il compito di affrontare fenomeni sociali, compensando l’inerzia dei meccanismi di controllo della società cosiddetta ‘civile’. Tanti anni fa, quando Tangentopoli e le inchieste sulla corruzione nella politica e nelle pubbliche amministrazioni non facevano parte nemmeno dei racconti di fantascienza, intervistai un vecchio procuratore della Repubblica che andava in pensione, il quale alla domanda ‘qual è il compito della magistratura nella difesa della legalità’, così rispose: “La magistratura è il chirurgo della società, interviene quando la medicina ha fallito…”.

Il suo prossimo impegno letterario?
“Un libro sulla scuola in ospedale: un’istituzione dal 1986, di cui molti ignorano l’esistenza. Gli insegnanti d’ospedale sono professori senza lavagna e senza aula che fanno lezione a un alunno alla volta, accanto al suo letto. E nella maggior parte dei casi, oggi, si tratta di ragazzi e ragazze ricoverate nei reparti di oncologia pediatrica. Infinito Edizioni ne ha programmato la pubblicazione in primavera”.

Un augurio alla Eduardo De Filippo a tutti i politici italiani per il prossimo anno?
“Impossibile rinunciare all’intramontabile: “Ha da passa’ ‘a nuttata…”. Ma aggiungerei: se qualcuno di loro andasse a trascorrere la notte… altrove, forse la ‘nottata’ passerebbe più in fretta…”.

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