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sabato, Luglio 27, 2024

Giancarlo Elia Valori: “Discorso sull’Intelligence” al Senato della Repubblica Italiana.

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Giancarlo-Elia-Valori
Il Prof. Giancarlo Elia Valori

a cura della Redazione de ILPARLAMENTARE.IT/

Oggi mi è stato affidato l’onore di pubblicare su ILPARLAMENTARE.IT una relazione molto, molto importante, a cura del Prof. Giancarlo Elia Valori, esperto in Geopolitica, Intelligence e non solo. Protagonista di uno spaccato di storia importante del nostro Paese in contesti sempre internazionale, il Prof. Valori continua ad arricchirci del suo sapere, questa volta con il chiaro fine di risvegliare le coscienze verso una cultura dell’Intelligence, sempre più indispensabile in una società globalizzante e sempre meno rispettosa dei Diritti Umani. Leggete e rileggete attentamente e scoprirete non solo che il mondo è diverso da come ci viene presentato ma che ci è concessa la grande opportunità di essere parte integrante della Verità. Fabio Gallo

Si è svolto dalle ore 17,00 alle 20,00 presso il Senato della Repubblica Italiana, nel Chiostro del Convento di Santa Maria Sopra Minerva, il convegno su “Geopolitica, Intelligence e Security” a cura del Movimento Associativo di carattere culturale, formativo e sociale “Risorgere“. Ad aprire e chiudere i lavori è stato il Presidente del Movimento Dott. Emiliano Belmonte. Il Prof. Giancarlo Elia Valori Cavaliere del Lavoro ha parlato di Geopolitica ed Intellegence e il Senatore Giuseppe Esposito di Sicurezza, quale strumento di tutela delle libertà e paradigma necessario per la costruzione di una democrazia liberale globalizzata (limiti alla tolleranza sociale e politica).

DISCORSO SULL’INTELLIGENCE A CURA DEL PROF. GIANCARLO ELIA VALORI  “Honorable de l’Academie des Sciences de l’Institut de France”

L’Intelligence è quella parte di tecniche, saperi, esperienze, tradizioni che riguarda la gestione degli arcana imperii. Sono sempre esistiti, i meccanismi occulti del potere, e sempre esisteranno. Un Potere si definisce come un monopolio di informazioni essenziali, e nessun potere ha sempre largito a piene mani quello che è, in ogni caso, la natura stessa del suo permanere: il monopolio delle informazioni. I Servizi di Intelligence poi hanno sempre mantenuto questa aura di riservatezza intorno a loro stessi e alle loro operazioni, il che è certo una necessità, ma corrisponde anche a uno stile, un rito, una autorità specifica che i Servizi hanno sempre avuto. Certo, è benemerita l’azione delle Agenzie italiane di andare in giro per le università e selezionare una quota di giovani da far entrare nelle Agenzie, ma il problema è un altro: chi opera nell’intelligence, analista o operativo, non è un bravo studioso, è soprattutto un bravissimo scopritore di quella formula alla quale nessuno aveva pensato prima, e questo non si insegna a scuola.

Occorre, nel Servizio, chi metta insieme, in pochissimo tempo, dati diversissimi tra loro per fonderli insieme in una visione omogenea. La logica dell’intelligence è quella dell’abduzione: un modo diverso di creare catene logiche, attraverso la probabilità. Ecco il primo punto da valutare: la logica dell’intelligence non è quella del potere politico. Se il Servizio valuta certi fenomeni, i politici tendono a vederli lontani, incerti, improbabili. Invece il meccanismo dovrebbe essere all’incontrario: il potere politico dovrebbe pensare con le stesse categorie del servizio, e non viceversa. Oggi noi abbiamo a che fare con una lenta fase di adattamento, che è però ormai un dato certo, in cui l’intelligence ragiona come i politici. Il Servizio ha abbandonato quel ruolo di Grande Educatore dei Politici che è stato tipico del XX secolo.

Purtroppo, i problemi che ci vengono posti davanti sono tali e tanti da necessitare di un costante apporto dell’intelligence. Oggi la politica è più complessa di quella delle grandi narrazioni novecentesche, e spesso non è comprensibile nemmeno da molti “tecnici”. Per non parlare del fatto che gli stessi “tecnici” non comunicano tra di loro, creando spesso ircocervi programmatici che, alla fine, mettono in crisi i governi che li hanno assunti. Nel caso del Servizio, niente di tutto questo: l’esperienza è quella degli antichi maestri, sostenuta dai necessari aggiornamenti, e non c’è bisogno di nessuna tecnologia particolare, quello che conta è il fatto. E’ ovvio che i Servizi hanno una struttura informatica e di altro davvero gigantesca, ma possono averla altri operatori, anche non legati all”intelligence. Il problema non è la quantità, ma la qualità e soprattutto il fine.

Un Servizio raccoglie fatti, certamente, ma anche e soprattutto opinioni classificate, dati del “nemico”, meccanismi di influenza, sistemi di “spin” per modificare le previsioni del candidato X che ci è vicino o per fare il contrario, insomma, l’intelligence ha la piena cognizione di come vada, davvero, un Paese. E ce l’ha anche del proprio, ma qui le ovvie limitazioni costituzionali e istituzionali bloccano tutto. Il paradosso di un Servizio è sempre quello, dai tempi di Fouchè, di essere inevitabilmente “uno stato nello Stato”, una organizzazione complessa, dall’elevatissimo potenziale, che può essere utilizzata per mandare dei fiori alla moglie dell’ambasciatore o per evitare un golpe. Qui, il tracciato è uno solo:la capacità soggettiva della classe politica di utilizzare al meglio i Servizi e di mantenere la pace sociale.

Ma è un dato del tutto ipotetico. Oggi il sistema politico è talmente frazionistico da non permettere accordi tra partiti su temi che riguardino l’intelligence. Inoltre, la cultura specifica dei politici è spesso così modesta da far pensare che non occorra nessuna “informativa”. Cosa farne, quindi, dei nostri apparati informativi oggi e in futuro? Intanto occorre prevedere un loro ruolo autonomo nel decision making. Un “ministero dei Servizi” che abbia un peso non transeunte nel processo politico. Poi, oltre alle questioni riguardanti le aziende, occorrerebbe che le Agenzie uscite dalla Legge del 2007 potessero impostare, senza rivelare dati sensibili le attività dei privati all’Estero.

La geopolitica ha ripreso i suoi diritti sul mondo, dopo la fase in cui la sola “diffusione della democrazia” si credeva bastasse a risolvere sia i conflitti regionali che quelli a potenziale globale. La presenza in Afghanistan, da ISAF a “Resolute Support” ha dimostrato che le tecniche di peace enforcing e peace supporting sono capaci di mantenere i conflitti al di sotto di una determinata soglia di visibilità, ma non certo a spegnerli. E’ facile prevedere, e la ripresa di Kunduz da parte dei talebani lo dimostra, che, alla fine della presenza multinazionale in Afghanistan, tomba degli imperi, da quello britannico a quello sovietico, sarà in mano agli “studenti” addestrati dal Pakistan, che vogliono mantenere un’area strategica di comporto e difesa di fronte ad un attacco nucleare indiano. E il Pakistan lo ricordiamo, era la fonte primaria di intelligence degli USA sui taliban. Come se gli Alleati avessero chiesto notizie riservate sulla Repubblica di Salò alle SS di Karl Wolff, con cui stavano trattando la resa a Berna.

Oggi, alcuni Stati, che sono stati sconfitti da una globalizzazione che sta scemando, si sono riuniti nei BRICS, (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) e in quella che chiameremmo “la nuova NATO”, ma all’Est, la Shangai Cooperation Organization. I Brics hanno la stessa funzione, nel diverso contesto storico, che era caratteristica della Conferenza afroasiatica di Bandung del 1955, ma lì in quel discussione c’era in ballo la fine del colonialismo e il tentativo della Cina di portare all’estero la sua teoria “dei Tre Mondi”, il primo con l’ URSS e gli USA uniti insieme, il secondo con le potenze intermedie, il terzo con “le campagne che accerchiano le città”, diretto dalla Cina maoista. Oggi il problema per le nuove riunioni di Stati è economico, ma assume sempre più spesso, negli equilibri strategici, un taglio di puro interesse nazionale. Ecco il ritorno dell’intelligence: i Paesi si ritrovano soli, nel momento in cui la globalizzazione sta cessando i suoi effetti, e valutano attentamente le proprie scelte geopolitiche sono, di fatto, “contro tutti”. Usare un rapporto preferenziale vuol dire eliminarne altri in linea di principio.

Il sistema-mondo è ritornato una macchina a pesi e contrappesi automatici, in cui nessuno si fida, come accadeva nella fase della democrazia triumphans, del primo venuto. E’ finita una fase politica come si è conclusa la correlativa ubriacatura finanziaria dei colossali investimenti negli emerging markets. Gli effetti strategici del crollo delle banche d’affari USA nel 2006-2008 non li abbiamo ancora valutati appieno, ma sono rilevantissimi. Nel mondo dell’intelligence, peraltro, abbiamo avuto riforme del sistema di sicurezza strategico proprio negli anni successivi alla prima grande crisi: quella italiana è del 2007, la riforma francese, dopo una lunga elaborazione, è stata votata dopo la strage di Charlie Hebdo, a fine aprile scorso il ministro competente ha fatto discutere al Parlamento tedesco la prima bozza di riforma della collaborazione tra i servizi già attivi. Già un errore: il Servizio Segreto deve essere uno, non nessuno e centomila, per dirla con Pirandello. Ma tralasciamo questo aspetto, gestito come un arcaismo anche nella nostra normativa del 2007.

I problemi sono altri: la tematica della lotta contro “l’estremismo”, che è un fenomeno aiutato da altri o non è. Quando stava arrivando la riunificazione tedesca, i servizi della DDR pagarono gli estremisti neonazisti tedeschi dell’Ovest per sfregiare le tombe nei cimiteri ebraici. Il significato era chiaro, i tedeschi sono sempre quelli, non sono all’altezza di diventare un grande paese democratico. L’altra tematica che emerge dalle nuove normative è l’ossessione per la Rete, i social network, la “microfisica del potere”, come la chiamava Michel Foucault. Altro errore. I testi dei social sono delle mitografie, non dei dati da analisi intelligence. Possono aiutare a chiarire la personalità e i rapporti di stiamo già cercando, ma non sono la fonte primaria. Peraltro, chi ha problemi di terrorismo non scrive tutto su facebook.

L’esperienza con i jihadisti londinesi del 7 luglio 2005, quella con i terroristi della stazione di Atocha, il passaggio silenzioso del garzone di macellaio halal che da Punta del Mar, sulla costa catalana, arriverà a compiere il feroce attentato alla nostra base di Nassiriya, tutto dimostra che il manovale del jihad sta il meno possibile sui nuovi media, anche se li usa per comunicare in codice quando occorre. Quindi, meno importanza alla mitologia della Nuova Comunicazione, più attenzione alla formazione di figure adatte alla HUMINT, Human Intelligence, a quegli uomini che con un solo sguardo capivano come stava cambiando l’animo dell’Emiro o lo spirito di rivolta del venditore di tè. Strano peraltro che la progressiva delegittimazione dei Servizi sia avvenuta nel momento in cui essi servivano sempre di più, non di meno. E che il rifiuto di massa delle strutture di intelligence sia divenuta una vera moda.

Il DIS italiano sta facendo una meritoria azione di “pubblicità” della nostra nuova intelligence con le università e le scuole, ma non basta. Non basta a cancellare anni, decenni in cui i Servizi, peraltro troppo collegati a partiti e correnti, sono stati utilizzati per mascherare il lungo ventennio di “Stragi di Stato”, in cui i veri operatori furono agenti di Servizi nemici in primo luogo, ma anche di quelli formalmente amici. Evitare ogni tipo di contromossa informativa contro questa grande defamation del nostro paese è stata una colpa grave, che ha portato insieme al Caso Moro, alla fine della Prima Repubblica. Quindi, Servizi con continui controlli incrociati, come se fossero un Centro Acquisti Ospedaliero, il mondo mitizzato della globalizzazione che finisce, il ritorno del bellum contra omnes che avrebbe bisogno di Servizi fortissimi, una cultura politica dove la cultura della sicurezza piano piano svanisce, come il ricordo del valzer della nonna. Tre cose che non tornano, soprattutto se, in un contesto costituzionale, che è presente ovunque in Europa, l’intelligence è sottoposta con filo diretto all’Esecutivo.

Penso peraltro a una buona parte della L. 124 del 2007, dove l’obiettivo sembra più quello di tutelare la classe politica dai dossier detenuti (e ci mancherebbe altro se ciò non fosse) dai Servizi che non altro. Mitterand non era certo uno stinco di Santo, ma quando andò per la prima volta alla Presidenza francese il vecchio capo della SDECE, Alexandre de Marenches, vecchio gourmet come il nostro e suo amico Federico Umberto d’Amato, si rifiutò di servirlo e se ne andò in pensione. Altri mondi, altri uomini. Ma se non si ristabilisce un nesso fiduciario tra Intelligence e Governo, se non si ristabilisce, nei fatti, una maggiore autonomia al Servizio, sarà ben difficile prevedere le nuove crisi, valutarne gli attori, analizzare gli amici e i nemici sul campo. Il tempo della politica non è quello dell’intelligence, è un dato di fatto da sempre esistente. Se non ne prendiamo atto e trasformiamo, come sta accadendo in tutta Europa, i Servizi in corpi di polizia, che cercano il jihadista e lo assicurano alle patrie galere, senza vedere i nessi i paesi che lo sostengono, senza nemmeno studiare i riferimenti ideologici e storici della sua propaganda.

In questo contesto, prenderanno forma le Agenzie pubbliche della Mediazione, o i Comitati per Tizio o Caio, che manipoleranno per loro conto la pubblica opinione. Che, per evitare che il Cuore spenga la Ragione, deve talvolta rimanere all’oscuro. Se ogni problematica militare o di sicurezza deve essere utilizzata nel dibattito politico spicciolo, allora pesa come gli interessi dei tabaccai o delle ormai famosissime “casalinghe di Voghera”. Evitare che di questioni che fanno tremare le vene ai polsi si debba parlare in Aula, aumento delle Commissioni e del loro potere, miglioramento del COPASIR, aumento degli uomini e dei mezzi per il nostro nuovo Comparto Sicurezza. Che deve aprirsi a nuove professionalità, ma che deve infondere nei nuovi arrivati lo spirito di corpo, il senso di nobiltà della propria professione, la superiorità verso la politica, il senso di rappresentare, nella trincea degli equilibri mondiali, tutto il proprio Paese. Oggi iniziamo a combattere per i nostri interessi in uno scacchiere che non è più così semplice, perché la globalizzazione era stata pensata come asse della nuova potenza unica mondiale, gli USA, mentre oggi stati di diversa conformazione e tradizione stanno combattendo per una sola cosa: riprendersi la loro sovranità.

Ne è un riflesso anche il dibattito italiano sull’Euro. Si sta riprendendo il ruolo sovrano e imperiale la Russia in Siria, atto che porta fuori dal Medio Oriente gli USA, con gli effetti strategici e geopolitici che possiamo bene immaginare, sta ritornando sovrana la Cina, che ha svalutato tre volte il renmimbi questa estate, ritornerà sovrano l’Iran, dopo l’inconsulto accordo del P5+1, scritto dalla fretta di “dare una mano” al “democratico” Rouhani ma la fretta fa i gattini ciechi, torna sovrano l’Egitto, dopo la follia dei Fratelli Musulmani arrivati al potere grazie alla “Primavere arabe”. Il Mondo si sta rinazionalizzando, i vincoli interstatali si stanno indebolendo, si stanno formando nuovi Centri del Potere, tra la SCO, Shangai Cooperation Organization, l’asse maghrebino tra Marocco e Tunisia, il nuovo polo di aggregazione tra Sudafrica e Africa subsahariana. E il Sudafrica è borderline per il nucleare.

A proposito, i due centro globali del dopoguerra per la gestione dei conflitti sono l’ONU e il Trattato di Non Proliferazione nucleare. Bene. L’ONU non conta nulla, salvo mandare costosissimi emissari che contano meno dell’organizzazione che li invia. Il TNP ha escluso Stati che se lo potevano ben permettere, e ha accettato nel suo seno Stati dalla dubbia stabilità democratica. Ovvero: ha congelato il potere nucleare, quello che davvero conta nel mondo politico internazionale negli attuali Stati nucleari: alcuni peraltro stanno perdendo potere, altri stanno emergendo come attori globali, ma sono il tappo per nuovi equilibri di potenza, e vi sono stati come il Pakistan, la cui attrezzatura nucleare militare è in funzione antindiana e a difesa dell’Islam, fu finanziata dall’Arabia Saudita. Se non vi è equalizzazione nucleare tra lo sfidante e lo sfidato, nessun tipo di trattativa, né economica né militare, può andare a favore dello sfidante. Due vecchi lacci e lacciuoli, ONU e TNP, che vanno lentamente mandati a morire lentamente, nella Shangrilà dei loro miti.

Si tratterebbe invece, con realismo sognante, di immaginare alcuni assi omogenei di stabilizzazione del mondo, con una rete già configurata SCO, un Giappone che funge da protettore di Corea del Sud e, in futuro, di Vietnam e Laos, e non dimentichiamoci che Tokyo si è dotata da pochi giorni di una nuovissima struttura di intelligence. Il Brasile dovrebbe attirare verso di sé i suoi vicini confinari, mentre l’Argentina dovrebbe ricollegarsi con il Nord costiero, tra Messico e Stati Uniti. Gli USA, nella linea di Barack Obama, rimarranno egemoni solo nell’uso universale del dollaro, ma nemmeno questo è certo: rivolte contro il dollaro hanno caratterizzato Saddam Hussein e, oggi, l’Iran petrolifero. Il passaggio tra Dollaro ad Euro è ancora un incubo per i decisori nordamericani. Per questo, se l’UE accetterà il nuovo Trattato Transatlantico Economico, l’area dell’Euro si restringerà, mentre il Dollaro rimarrà stabile.

Ma il potere non è una moneta, anche se la divisa è fondamentale. Allora è probabile che gli USA organizzeranno il loro lento declino afferrando per i pantaloni l’Europa, che è infatti già irrilevante, peggio ridicola, sul piano militare e strategico. La soluzione: intelligence nazionale tous azimuts, molto ben sostenuta e protetta dal sistema politico, attività preventiva nei confronti di minacce rilevanti, e le minacce, lo abbiamo già visto, sono molte altre oltre il jihadismo, un progetto di nuovo “sovranismo” italiano, visto che saremo presto abbandonati da tutti, meno che a parole, una postura di attacco rispetto alle minacce globali che lambiscano il nostro Paese.

 

 

 

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