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sabato, Luglio 27, 2024

Paolo Callari: il punto focale in teoria dei giochi di Thomas Schelling

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Thomas Shelling

Nella teoria dei giochi un punto di Schelling (chiamato anche punto focale) è una soluzione che i giocatori tendono ad adottare in assenza di comunicazione, poiché esso appare naturale, speciale o rilevante per loro. Il concetto fu introdotto dall’economista statunitense, premio Nobel nel 2005, Thomas Schelling nel libro La strategia del conflitto (1960). In questo libro Schelling descrive un punto focale come: “l’aspettativa di ogni giocatore su quello che gli altri si aspettano che lui si aspetti di fare”
Consideriamo un semplice esempio: a due persone, che non possono comunicare tra loro, è mostrato un pannello con quattro quadrati e gli viene chiesto di selezionarne uno; se e solo se entrambi selezionano lo stesso ricevono un premio. Tre quadrati sono blu e uno è rosso. Assumiamo quindi che non conoscano nulla sull’altro giocatore, ma che entrambi vogliano vincere il premio, ragionevolmente sceglieranno entrambi il quadrato rosso. Di certo, il quadrato rosso non è un quadrato migliore degli altri; i giocatori possono vincere scegliendo entrambi un qualsiasi quadrato. È il quadrato giusto da scegliere solo se possiamo essere sicuri che l’altro giocatore ha scelto quello; ma per le ipotesi del gioco nessun quadrato è certamente quello giusto. È il quadrato che si nota maggiormente e i giocatori sceglieranno quello con frequenza maggiore di tutti gli altri. Questo fatto viene verificato grazie a prove empiriche.
Schelling stesso illustra questo concetto tramite il seguente problema: domani devi incontrare un estraneo a New York. Dove e quando lo incontri? Questo è un gioco di coordinamento, dove tutti gli orari e tutti i luoghi della città possono essere una soluzione di equilibrio. Schelling propose ad un gruppo di studenti questo quesito e trovò che la risposta più comune era: “alla Grand Central Station a mezzogiorno”. Non c’è nulla che rende la GCS un luogo con un payoff maggiore (il giocatore potrebbe facilmente incontrare qualcuno al bar, o nella stanza di lettura di una biblioteca pubblica), ma la sua tradizione come luogo di incontro la rende speciale, ed è perciò un “Punto di Shelling”.
Nel 2016, il 13 di dicembre, è mancato, a 95 anni, Thomas Schelling. Nel 2005, il 10 di ottobre, il segretario del Comitato per i Nobel chiama Schelling che, per un istante, pensa: «Per la pace o per l’economia?». In realtà per l’economia. In assenza di Nobel per le altre scienze umane, sono premiati come “economisti” studiosi che non lo sono, creando non poca confusione. Schelling soleva scherzare dicendo che aveva avuto il Nobel per qualcosa che non era successo, non per un’opera letteraria o scientifica. Nel 1960 Charles Percy Snow, allora noto per il dibattito sulle “due culture” (scientifica e umanistica), aveva scritto sulla prima pagina del «New York Times» che, «con certezza matematica», sarebbe presto scoppiata una guerra termonucleare se le due superpotenze non avessero ridotto drasticamente i loro arsenali nucleari. Da allora la dotazione nucleare di Russia e Stati Uniti è cresciuta a dismisura ma non ci sono state guerre atomiche. Thomas Schelling è la persona che più ha contribuito a questo risultato.
La storia comincia a metà del secolo scorso. A Schelling era capitato di cercare un amico dopo che si erano persi in una città. Ciascuno dei due si era messo nei panni dell’altro immaginando il punto d’incontro più probabile. Una cosa del genere poteva capitare quando non c’erano telefoni portatili. Thomas Schelling ci pensò su e poi chiese ai suoi studenti: «Domani devi incontrare un compagno a New York, ma non puoi comunicare con lui. Che cosa fai?». La risposta prevalente fu: «Vado al centro informazioni della Stazione Centrale». E se non sapessi nemmeno l’ora? «Ci vado a mezzogiorno». Schelling provò con domande analoghe: Se devi scegliere testa o croce? – Testa, risposero i più. Di fronte a una scacchiera, quale quadrato sarebbe stato scelto? Risposta: il quadrato in alto a sinistra! Schelling aveva scoperto il “punto focale”, cioè il punto che permette il coordinamento reciproco delle azioni.
E per evitare uno scontro termonucleare tra Urss e Usa? Risposta: ciascuna delle due superpotenze deve essere certa della rappresaglia dell’altra. Di qui la strategia preventiva del “mutuo terrore”, adottata congiuntamente da Usa e Urss. Non occorre difendere le popolazioni delle principali città, come nel caso di Londra durante la Seconda guerra mondiale. Basta rendere invulnerabile la fonte del contrattacco. Molti bombardieri, dotati di bombe atomiche, dovevano restare in volo in modo da non essere localizzabili e “pareggiare” un eventuale attacco nemico. E nel caso di un imprevisto? Se chi comandava i bombardieri fosse “impazzito”, come ne Il dottor Stranamore (1964), il film di Stanley Kubrick con Peter Sellers? Schelling propose a Urss e Usa di risolvere gli imprevisti prima che sfuggissero di mano grazie a una linea di comunicazione sempre attiva. Il famoso “telefono rosso” era in realtà una robusta telescrivente che i sovietici e gli americani usarono ogni giorno, anche quando c’erano da mandarsi solo saluti. Un’idea non scontata tra due rivali, ma che si rivelò cruciale in occasione della crisi cubana. Andava mantenuto l’equilibrio che si sarebbe rotto con missili così vicini agli Stati Uniti da impedire un contrattacco tempestivo. Allora i sovietici tolsero i missili con testate nucleari da Cuba e gli americani dalla Turchia.
Su che cosa poggia la nozione di punto focale? In certi casi si tratta di uno schema culturale condiviso. Per esempio, il giorno di San Valentino a New York, il posto per due innamorati sarebbe stato non la stazione ma la terrazza in cima al grattacielo Empire State Building. Questa consuetudine è sfruttata nel film Insonnia d’amore (Nora Ephron, 1993), quando il bambino riesce a far incontrare il padre (Tom Hanks) e la futura madre (Meg Ryan). Nella scelta del quadrato della scacchiera, il punto focale dipende dall’attenzione visiva.
Gli schemi condivisi, necessari per prevedere che cosa farebbero gli altri in una data situazione, sono il punto di partenza per immaginare mondi possibili. Il lavoro di Thomas Schelling è l’anticamera per le scoperte di Daniel Kahneman e Amos Tversky, gli psicologi israeliani che hanno studiato i modi con cui “progettiamo” scenari alternativi “dis-facendo” (un-doing) il nostro mondo. The Undoing Project è proprio il titolo di un’appassionante ricostruzione dei rapporti di amicizia e di studio tra Kahneman e Tversky. È stata scritta da Michael Lewis ed è la novità più di successo negli Stati Uniti. Schelling ha chiarito la celebre frase, un po’ sibillina, del filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein: «Se un leone potesse parlare, noi non potremmo capirlo» (Ricerche Filosofiche, 1953). Immaginiamo di arrivare in un Paese radicalmente diverso: parlare la stessa lingua non servirebbe nella totale assenza di schemi mentali e di punti focali condivisi.

a cura di Paolo Callari, liberamente tratto dal web

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