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venerdì, Aprile 19, 2024

Olio extravergine Igp: è corsa al riconoscimento dei marchi regionali

Il successo dell’’olio Toscano, dovuto alla riconoscibilità dell’area a livello internazionale, ha portato alla richiesta di tutela legata a territori con volumi rilevanti come Puglia, Calabria e Sicilia

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La corsa degli oli regionali. Negli ultimi mesi si è registrata una vera e propria escalation nelle richieste di riconoscimento di oli extravergini d’oliva a indicazione geografica. La vera novità non è tanto nella richiesta del marchio Igp al posto di quello Dop (in Italia di extravergine a Denominazione d’origine protetta ce ne sono ben 44) ma del tentativo di replicare un modello di successo: quello dell’olio Toscano Igp. Un modello che ha indubbiamente funzionato perché prima ancora della certificazione Ue ha chiarito in maniera inequivocabile un’area produttiva, la Toscana, molto nota anche a livello internazionale.

Il successo del Toscano Igp

Un aspetto che si è rivelato decisivo nel decretare il successo dell’olio Toscano Igp che è riuscito così negli anni ad associare un numero rilevante di produttori (fino a 9mila) e a raggiungere quantitativi certificati fino a 4mila tonnellate, il 20% circa di tutto l’olio made in Italy a marchio Ue. Il restante 80% è messo insieme dalle oltre 40 Dop disseminate sul territorio (e con molte che fanno riferimento ad aree che i consumatori fanno fatica a collocare sulla cartina geografica) con l’unica eccezione della Dop Terra di Bari che, solo dopo anni di lavoro, è riuscita a raggiungere volumi analoghi a quelli dell’Igp Toscano.

Il tema chiave è quello della riconoscibilità. Ed è con questo obiettivo che sono fioccate le nuove domande. A oggi tra nuove autorizzazioni e richieste in via di riconoscimento si contano le Igp delle Marche (25 tonnellate certificate), della Calabria (281 tonnellate), della Sicilia (757 tonnellate) oltre alla Igp Puglia e l’olio Igp Lucano che, poiché sono stati riconosciuti rispettivamente a dicembre 2019 e a ottobre 2020, ancora non hanno debuttato sul mercato. Mentre sullo sfondo sono avviati i confronti per il lancio degli extravergini Igp Roma (che però comprende l’intero Lazio), Campania e Sardegna.

Il potenziale di Puglia, Calabria e Sicilia

L’operazione è di grande rilievo soprattutto perché le Igp di Puglia, Calabria e Sicilia hanno un potenziale davvero rilevante. E si tratta anche di aree che tra le ondate migratorie del passato e i consistenti flussi turistici intercettati oggi sono anche fortemente riconoscibili all’estero. «Tutto è partito qualche anno fa – spiega David Granieri, presidente dell’Unaprol, una delle principali associazioni di produttori olivicoli – quando abbiamo capito che il progetto sull’Igp Italia non sarebbe andato in porto. Da allora abbiamo ripiegato sui marchi regionali che possono vantare nomi territoriali evocativi e al tempo stesso consentire di mettere insieme significativi volumi. Ci siamo resi conto che si riesce davvero a incidere solo se si svolge un reale ruolo sul mercato mentre se si rimane ancorati alla supernicchia si resta ai margini. Va in questa direzione anche l’ultimo progetto che abbiamo avviato di trasformare la Dop dell’olio Terre d’Otranto nella Igp Salento».

«La nostra è un’esperienza di successo – spiega Fabrizio Filippi, presidente del Consorzio dell’Olio Igp Toscano –. Negli anni migliori siamo arrivati a imbottigliare oltre 4mila tonnellate di olio, quasi un terzo dell’intera produzione toscana. Nelle ultime annate le condizioni meteo e qualche caso di mancato ricambio generazionale ha ridotto la produzione sotto le 3mila tonnellate. Ma ci aspettiamo ora un rimbalzo grazie a molti nuovi uliveti che sono stati piantati. Perché dove c’è mercato si piantano nuovi uliveti».

Contro l’abbandono degli uliveti

«Noi siamo stati tra i principali promotori della Igp Calabria – spiega il presidente dell’associazione olivicola cosentina, Massimino Magliocchi – perché siamo convinti possa essere una importante leva per valorizzare la produzione olivicola calabrese, seconda per volumi in Italia dopo quella pugliese. Una valorizzazione necessaria per garantire una migliore remunerazione ai produttori che già sono attivi, ma ancora di più per attrarre nuovi imprenditori e magari contrastare uno dei principali problemi dell’olivicoltura italiana degli ultimi anni: l’abbandono degli uliveti».

Un trend preoccupante e che va contrastato anche perché alla base di tanti episodi di dissesto idrogeologico o degli incendi che questa estate hanno distrutto 400 ettari di uliveti nella sola Sardegna.

Fonte Il Sole24ORE di Giorgio dell’Orefice

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